Ognuno può diventare presidio antimafia
Sabato 18 gennaio presso l’auditorium di San Francesco in Lucca si è tenuto l’incontro rivolto agli studenti delle scuole superiori di Lucca “Mafie, problema storico nazionale: ascesa e pervasività della ‘ndrangheta”, promosso dal Presidio lucchese di Libera "Giuliano Guazzelli", dall'I.S.I. Machiavelli, con la collaborazione di Lucca Libri.
L'iniziativa rientrava tra quelle previste in preparazione della XXV edizione della “Giornata della Memoria e dell'Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie”, che quest’anno si terrà nella città di Palermo il 21 di marzo.
All’incontro hanno partecipato le classi quinte del Busdraghi (5PA, 5GA e 5VA) accompagnate dai docenti Bandoni Silvia, Mori Silvia, Donatini Roberta, Barsanti Giovanna, Cannone Nicola e Giannini Alessandro.
Relatori dell’incontro l’onorevole Rosy Bindi, ex presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, e il giornalista Claudio Cordova autore del libro inchiesta “Gotha. Il legame indicibile tra 'ndrangheta, massoneria e servizi deviati”.
Dopo i saluti della responsabile della sezione locale di Libera Laura Soletti, l’assessore con delega alle politiche formative del comune di Lucca Ilaria Vietina ha messo in evidenza l’importanza di procedere ad una ricostruzione storica del fenomeno mafioso e di quanto sia essenziale far crescere la consapevolezza riguardo a questo fenomeno.
L’intervento di Rosy Bindi
L’onorevole Rosy Bindi ha centrato il suo intervento sui motivi che rendono le mafie un fenomeno così pervasivo e persistente nel nostro Paese.
La mafia esisteva ancor prima che l’Italia divenisse una nazione unitaria e ha, in seguito, inciso profondamente sulla storia economica, politica e sociale del nostro paese. La nascita della Repubblica italiana fu battezzata con il sangue innocente dei contadini che si erano dati appuntamento il 1° maggio 1947 a Portella della Ginestra (Palermo) per festeggiare la Festa del Lavoro. Per volontà dei poteri mafiosi dell’isola, desiderosi di conservare i vecchi privilegi economici (il latifondo in particolare) e intimidire coloro che reclamavano la redistribuzione delle terre, la banda criminale guidata da Salvatore Giuliano sparò sulla folla uccidendo undici persone. Dal Mezzogiorno le mafie si sono irradiate in ogni regione della nostra penisola, oltrepassato anche i confini nazionali per diffondersi nei diversi continenti.
La relatrice ha osservato che l’Italia è riuscita a superare periodi critici e a debellare fenomeni violenti e criminali come quelli del Terrorismo e della Strategia della tensione che hanno insanguinato per decenni il nostro paese, ma non è riuscita a sconfiggere le varie mafie. Il motivo di ciò, secondo Rosy Bindi, è da ricercare nel modo di operare della mafia: la mafia tesse una relazione di interesse con il soggetto, lo “serve per essere servita”. Il camorrista si prende cura di te, ti dà lavoro, ti dà accesso ai servizi, crea una relazione intima, personale. La forza della mafia sta nell’agire in silenzio, nelle retrovie; la mafia non esce quasi mai allo scoperto o in prima linea. Però tutti sanno chi conta nella Locride, chi sia il capo-famiglia o il padrino. Quando la mafia è venuta allo scoperto, ecco che si è mostrata vulnerabile. Una mafia infatti è stata sconfitta, quella del periodo stragista degli anni ’90 (periodo delle autobombe del '93-94). Si era da poco concluso il maxiprocesso di Palermo che aveva inflitto pesanti condanne ai capi mafiosi e come reazione Cosa Nostra commissionò una serie attentati a membri delle forze di polizia, della magistratura (Falcone e Borsellino) e del potere politico (Lima), ma non vennero risparmiati neppure il Patrimonio culturale italiano (Accademia dei Georgofili di Firenze), né le persone comuni. Lo scopo era indebolire, colpire e ricattare le istituzioni democratiche e la società civile.
L’associazione Libera di Don Ciotti è nata in questi anni, perché, non solo i palermitani, ma gran parte degli italiani aveva finalmente preso coscienza della esistenza della mafia e si era generato nel Paese un forte risentimento contro queste azioni criminali.
Oggi è la Calabria a presentare le maggiori criticità, ma la mafia è un fenomeno nazionale e nessuna regione è immune: la Lombardia, ad esempio, è la quarta regione italiana per quanto riguarda le infiltrazioni mafiose negli ambiti della edilizia, dei rifiuti e del movimento di terra.
La mafia è una organizzazione che dispone di enormi risorse economiche. Dal traffico della droga le mafie riescono ad ottenere entrate pari al Prodotto Interno di un paese di medie dimensioni. Ma la sua vera forza non sta nella organizzazione o nella struttura piramidale e verticistica. La vera forza della mafia sta nel clima di omertà, di connivenza, di complicità che si instaura fra la vittima e il mafioso locale. La vera forza della mafia sta in chi accetta di convivere con essa. Al mafioso non interessa esercitare la violenza, quanto il controllo del territorio: assicurarsi il controllo degli appalti, dei rifiuti, della sanità… Per questo ha bisogno di imprenditori compiacenti che ottengano gli appalti, di notai e professionisti che riciclando denaro sporco e inquinino la concorrenza economica. La vera forza della mafia sta nel sodalizio vittima-complice: la vittima accettando il potere mafioso, diviene complice della organizzazione.
Non occorre essere eroi o santi per combattere la mafia. Peppino Impastato, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Don Pino Puglisi o Don Beppe Diana sono persone che hanno “semplicemente” fatto il loro dovere: giornalisti che hanno raccontato i fatti come stavano, magistrati che facevano scrupolosamente le loro indagini, sacerdoti che si rifiutavano di dare la comunione ai mafiosi o che si occupavano di aiutare i giovani togliendoli dalle strade e aiutandoli a trovare un lavoro onesto. Occorrono imprenditori onesti che fanno le cose per bene, politici che non accettino i voti mafiosi.
La mafia si combatte per prima cosa ammettendo che esista. Che c’è in ogni regione e in ogni provincia italiana. E poi si combatte se non accettiamo di divenire complici.
Perché ognuno può divenire “presidio antimafia”.
Claudio Cordova
Il giornalista Claudio Cordova, fondatore e direttore del quotidiano online di Reggio Calabria “Il Dispaccio”, ha articolato il suo intervento cercando di chiarire che cosa si può fare come cittadini o come studenti per contrastare il fenomeno mafioso.
La 'ndrangheta calabrese è, al momento, l’organizzazione più potente fra quelle mafiose, capace di dialogare anche con i cartelli della droga sud-americani e di permeare ogni ambiente della nostra società, dalla sanità alla scuola, dalle università alle istituzioni.
La cultura mafiosa prospera là dove non si accetta il merito. Per crescere la ‘ndrangheta sfrutta le immense risorse finanziarie derivanti dai traffici illeciti, ma anche le “relazioni”, la complicità di coloro che accettano di lavorare e di arricchirsi venendo a patti con l’organizzazione. Non c’è bisogno di santi, ma di persone che abbiano rispetto di se stesse, dei diritti e doveri sanciti dalla nostra Carta Costituzionale.
Il primo baluardo contro le mafie è la conoscenza, perché nessun territorio e nessuna regione è immune dalla infiltrazione mafiosa.
Secondo Cordova occorre essere curiosi, cercare di conoscere i fenomeni e non smettere mai di sognare. Occorre, inoltre, cercare di resistere alle lusinghe dei mafiosi. Non si richiede coraggio, ma tanta tanta dignità.
I numerosi alunni presenti hanno partecipato all’incontro con grande attenzione e coinvolgimento, scandendo con applausi i passaggi più significativi. Al termine delle relazioni hanno chiesto chiarimenti sul ruolo delle donne nelle organizzazioni mafiose, su che cosa si può fare per rompere quel muro di omertà e come si possono riconoscere gli affiliati alle cosche mafiose, domande a cui i relatori hanno ampiamente risposto.
Alessandro Giannini